
Documentario, Gran Bretagna, 2017
Regia Lili Fini Zanuck
Con Eric Clapton
Distribuzione Lucky Red
Durata 135 min
Recensione a cura di Umberto Marzi
La vita di un’artista, le sue luci ed ombre, immagini inedite di un’era indimenticata, quella degli anni ’60 e dei primi 70’, e un’intervista a B.B. King in cui, alla domanda se anche i bianchi potessero fare blues, senza nascondere una risata sentita, il re fra i re del blues ribatte sconcertato: “No, è impossibile! Semplicemente non hanno sofferto abbastanza.”.
La voce dello stesso Clapton ci accompagna in questo catartico viaggio autobiografico, immergendoci nella Ripley del dopoguerra, teatro delle prime sofferenze dell’artista: dalla scoperta che i suoi genitori in realtà siano i suoi nonni e che quindi sua sorella sia la sua vera madre, al secondo rifiuto di quest’ultima di comportarsi da tale. È in questo periodo che il giovane Eric comincia ad approcciarsi allo strumento che lo renderà, letteralmente, un dio delle folle, raggiungendo l’apice del successo con i Cream e trovandosi ad improvvisare sessioni con artisti del calibro di Aretha Franklin negli storici studi americani dell’Atlantic Records.
Il film, nella sua interezza, anche grazie a inedite interviste ai parenti e amici, narra infatti la storia di un uomo, in grado, molto più di altri, di trasformare il dolore in creatività, spesso solitario, incapace di comunicare con gli altri se non attraverso lo strumento. Sono gli anni della delusione dallo scioglimento dei Cream, dell’eroina, la nuvola rosa che da tutto ovatta e protegge, e dell’ossessione per la sua storica Layla e moglie del suo migliore amico, la bellissima Patti Boyde. Merito della pellicola è indubbiamente quello di catturare lo spettatore, mai stancandolo, nonostante la lunghezza, grazie soprattutto all’intuizione registica di assumere diversi ritmi narrativi nel passaggio attraverso i decenni, approfondendo gli anni ‘60, toccando velocemente gli anni ’70 e sorvolando del tutto sugli anni ’80, quasi a voler rappresentare la coscienza stessa dell’artista, prima sopita dall’eroina e poi del tutto annegata nell’alcool, risvegliata con l’arrivo del figlio e straziata dalla sua prematura scomparsa.
La regia è firmata da Lili Fini Zanuck, storica amica del chitarrista, con cui già collaborò ai tempi di RUSH, nel quale è invece lo stesso Clapton a firmare la principale canzone estratta dalla colonna sonora: Tears In Heaven, canzone simbolo della rinascita artistica e umana dell’autore, raccontataci al termine di questa “ringkomposition” fatta di blues, personificato da B.B. King, che avvolge l’intero film, a cornice della vita di un uomo con la chitarra e contro il mondo.